Calabria: il Crocefisso nero di Tropea

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Tropea mare

Si tramanda da una generazione all’altra che un giorno di un’epoca imprecisata, indubbiamente non prima del XV secolo, un grosso bastimento, forse proveniente da un porto spagnolo o francese, sorpreso da una terribile tempesta, per sottrarsi alla furia del vento e delle alte onde, si sia portato dal largo del mare verso un tratto di spiaggia di Capo Vaticano, nei pressi di una proprietà terriera , di Tropea.Era una delle tante navi, che per intensi scambi commerciali per i quali, specialmente per l’esportazione del vino nei secoli XIV-XV, la rada di Tropea era un punto importante dell’itinerario marino.

Quella volta ai “lupi di mare” della nave, che chi sa in quante altre drammatiche circostanze erano riusciti a sottrarre il proprio legno alle feroci ire del mostro marino, ciò che era apparso un sospirato miraggio di salvezza, si rivelò in effetti una trappola di morte.

La nave, incaglicrocifisso NEROatasi nelle secche, si sfasciò tra gli scogli che, nascosti o a pelo d’acqua, sembrava pregustassero già con voluttà quella appetitosa preda. Galleggiava, tra le sartie e rottami, sospinto dalla risacca in una altalena tra la riva ed il largo, un Gesù crocifisso ligneo, di dimensioni quasi naturali, in una posizione rigidamente diritta. Era una parte del carico della nave. Alla fantasia popolare, specialmente nei secoli passati, quell’episodio apparve subito un miracolo.

Recuperato il sacro Naufrago da devoti volenterosi, fu traslocato nella Cattedrale di Tropea, ritenuta la sede più degna per accogliere quello che, a prima vista, sembrava un crocifisso non comune.Tacciono le vecchie carte in merito all’originario colore del Cristo.Il ventesimo secolo aveva ricevuto dal mondo passato, in preziosa eredità, un bellissimo Cristo di nera pittura, che gli dava un tono di austera singolarità ed il nome di “Crocifisso nero”. Nel 1979, da parte degli esperti della Sovrintendenza alle Belle Arti di Cosenza, fu fatto un restauro. Lavoro, questo, sollecitato e giustificato non tanto dalla probabilità di trovare, sotto una patina nera di vecchia pittura, un Cristo di colore diverso, quanto dalla urgente necessità di rafforzare la stabilità del corpo, compromessa dalla vecchiezza.

tropea-chiesaE’ apparso così uno splendido Cristo dorato, una volta ripulito di quella incollante vernice nera che gli era stata spalmata nel XVII sec., forse per periodica manutenzione.Il Cristo, opera del XV – XVI secolo, si è sempre ammirato nella sua interezza e per certi suoi particolari anatomici: le carni così aride e tirate, che mettono quasi a nudo le arterie venose nelle gambe e nelle braccia; le costole tanto sbalzate, che sembrano a stento trattenute da una sottile fascia di carne; il volto, dolcemente inclinato in avanti sul fianco destro, con ai lati ricciuti capelli abbandonati verso il petto, esprime le grandi sofferenze che Cristo provò come Uomo negli ultimi momenti della sua esistenza terrena, ma anche la dolce rassegnazione dell’Agnello di Dio. Si può dire che in quel Sacro Volto è magistralmente scolpita la simbiosi Uomo-Dio con un tocco artistico, che sublima tutta l’opera.

Non si conosce l’artefice, anche se c’è chi fa somigliare il nostro Crocifisso a quello di Benedetto da Maiano, venerato sull’altare principale del Duomo di Firenze, o chi sostiene che esso appartiene alla scuola dei Crocifissi lignei, fiorita a Limoges ,nel ‘400. Un fatto è certo: tanta fede e tanta arte hanno guidato la mano dell’ artista, per cui si potrebbe risolvere il problema della paternità affermando: la Fede l’ha ispirato, l’Arte l’ha generato.

 G.S.

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